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Moto bolognesi: la nascita di un mito 

Non è difficile immaginare lo stupore del pubblico che il 22 maggio 1899 assiste, in una nuvola di polvere, all’arrivo in città dei rumorosissimi motocicli che hanno appena gareggiato sulle strade dei comuni limitrofi.

La storia delle moto bolognesi inizia ufficialmente così!

In questa fase pionieristica le moto sono pochissime, destinate a pochi benestanti e appassionati. Il panorama però cambia velocemente a seguito del primo conflitto mondiale: lo sforzo bellico richiede infatti alle aziende legate alla motoristica un grande impegno tecnologico.

Molti giovani – dopo aver prestato servizio militare come meccanici o autisti – si avvantaggiano delle accresciute cognizioni professionali per tentare l’avventura imprenditoriale; inoltre, si amplia la richiesta di mezzi di trasporto autonomo a buon mercato.

Anni Venti: agli albori dell’industria motociclistica

Questo mutamento accade sia in Italia che negli altri paesi belligeranti, vincitori o sconfitti.

In ambito bolognese sono G.D e M.M, nate nel 1923 e 1924, a distinguersi subito per la qualità della loro produzione, grazie alle grandi competenze tecniche dei loro fondatori (Guido Dall’Oglio e Mario Mazzetti) ed operando in officine ben organizzate ed attrezzate.

Sono le gare a determinare, per tutti i costruttori, l’andamento positivo della produzione. I nuovi modelli vengono allestiti in versione da competizione e le vittorie, o buone prestazioni, hanno un’immediata ricaduta sulle vendite, indirizzando le scelte degli acquirenti.

Alla fine degli anni Venti il settore motociclistico affronta nuovi significativi cambiamenti.

Nel 1928 viene aggiornata la normativa vigente e la categoria moto leggere, per la quale non era previsto l’obbligo di targa e patente, è estesa a tutte le moto con cilindrata inferiore a 175 cm , favorendo la loro diffusione. Le imprese minori, che producono piccole cilindrate, sono penalizzate e scompaiono. Solo le case maggiori sono in grado di raccogliere la sfida, proponendo nuovi modelli che, come nel caso della M.M. e della neonata C.M a Bologna, permetteranno loro di affermarsi nel decennio successivo.

Negli anni Trenta la moto diventa uno status symbol 

Negli anni Trenta la moto inizia a diventare uno status symbol.

I centauri provetti di famiglia benestante ricercano moto belle, veloci ed affidabili. Altri neofiti, con minori possibilità economiche, ne utilizzano di più modeste, orgogliosi comunque di salire un gradino nella scala sociale.

L’acquisto di una moto, anche se sofferto e rateale, ammette di fatto il compratore nella famiglia di chi può permettersi uno stile di vita superiore alla media.

Anche il regime utilizza l’immaginario delle due ruote: organizza motoraduni, adunate e raid motociclistici, alimenta il mito virile del pilota temerario, spericolato, invincibile.

Le ristrettezze economiche impongono però anche scelte utilitaristiche, ponendo limite alle ditte costruttrici circa i modelli, le cilindrate e i materiali costruttivi.

Viene invece incentivata la produzione di mezzi da trasporto a tre ruote, motofurgoni e motocarri, che godono a partire dalla seconda metà degli anni Trenta, di una grande fortuna commerciale.

A Bologna il regime impone la sua presenza anche in ambito agonistico, cercando di coinvolgere i piloti più affermati agevolandone l’attività con un’apposita Scuderia, la Olindo Raggi, o di reclutarli nella Milizia della Strada offrendo premi e licenze.

Con la dichiarazione di guerra, nel 1940, iniziano anni bui per le ditte bolognesi: escluse dalle commesse statali, bloccati i programmi di sviluppo, la produzione di moto di fatto cessa, essendo consentita solo quella di un esiguo numero di motocarri, mentre vengono imposte lavorazioni legate all’industria bellica.

Infine i bombardamenti aerei alleati portano alla distruzione, tra le altre, delle officine M.M. e Drusiani.

Moto bolognesi: la motorizzazione popolare del Dopoguerra 

Uscita dalla guerra, l’Italia è impegnata in un grande sforzo di ricostruzione del suo tessuto sociale, politico ed economico.

La ripresa, pur faticosa, mette in luce un grande slancio vitale che coinvolge tutte le attività produttive, sia artigianali che industriali. Uno degli esempi più eclatanti è il settore della motoristica, sopravvissuto tra mille difficoltà agli anni dell’autarchia e alle distruzioni dei bombardamenti.

Più tardi, superata l’iniziale penuria di materie prime, gli industriali e gli artigiani bolognesi recuperano piena libertà di progettare e realizzare secondo le richieste del mercato, senza doversi più attenere alle superate regole autarchiche.

Bologna è protagonista, in posizioni di primo piano, di questo fenomeno di motorizzazione diffusa.

È solo con gli anni Cinquanta però che Bologna si lascia alle spalle le macerie della guerra, diventando grande protagonista dell’importante crescita economica italiana.

Trainata dall’industria meccanica con il considerevole apporto di quella motoristica, lo scenario bolognese si dimostra ancora una volta estremamente vivace, con ben 55 marche di motocicli finiti, perlopiù di piccole e medie cilindrate, senza considerare le moltissime attività legate alla componentistica.

In città Ducati e Moto Morini si avviano ad avere un assetto e una organizzazione produttiva moderni, attrezzando stabilimenti efficienti, dotati di una adeguata dotazione di macchine, con significativi riscontri economici.

Tipicamente emiliano è il fenomeno dei Moto Club, più di venti tra Bologna e provincia, sodalizi che spesso contano pochi iscritti ma, animati da entusiasmo e buona volontà, organizzano gare di Regolarità, Campionati sociali, gymkane, raduni.

Il grande interesse che riscuote il mondo della motoristica a due ruote è testimoniato anche dalle numerose riviste del settore che analizzano le tendenze produttive, propongono modifiche di leggi e regolamenti e naturalmente presentano in modo analitico la produzione e le novità delle ditte piccole e grandi, i principali eventi sportivi e le grandi fiere.

Infine, registrano con preoccupazione, alla fine del decennio, la crescita sempre più impetuosa della produzione automobilistica.

Parliamo di tutto questo e di molto altro in Fabbrichiamo il Futuro – Il podcast.